Una Lettera Aperta a Papa Leone XIV

Santità,

Le scrivo con gratitudine e con il cuore mosso dalla preoccupazione per la guarigione delle Prime Nazioni della Turtle Island—i popoli indigeni del Nord America, in Canada come negli Stati Uniti.

Benché io sia una persona bianca e, in molti sensi, un osservatore esterno alle loro tradizioni viventi, sento in questo momento la chiamata ad alzare una voce di compassione per le ferite generazionali lasciate dalla colonizzazione. I coloni europei e le istituzioni portarono con sé sia la fede sia la violenza; e sebbene la storia non possa essere annullata, credo possa essere riconosciuta con umiltà, affinché lo Spirito ci guidi verso la riconciliazione e la guarigione.

Non è mio compito parlare a nome dei popoli nativi o delle Prime Nazioni, né presumere quale ruolo essi possano invitare da altri. Tuttavia, credo che ora si possano piantare dei semi—semi di memoria, di ascolto e di responsabilità—che un giorno potranno crescere in cammini di fiducia.

Ricordo la visione donata a Black Elk, che parlò del Sacred Hoop come via per unire i popoli nel rispetto, affinché tutte le nazioni possano stare insieme nel cerchio, nello spirito della propria voce e delle proprie tradizioni. In questa visione sento un invito per la Chiesa non a sovrapporsi alla saggezza indigena, ma a creare spazi perché essa sia ascoltata, così che la riconciliazione emerga attraverso il dialogo, la dignità e la reciproca riverenza.

Rifletto anche sulla profezia Hopi dei Fratelli Bianchi Perduti. Si narra che uno sia rimasto qui, mentre l’altro sia andato oltre il mare e debba ancora ritornare. Alcuni hanno intravisto in questa figura—legata al mito e alla profezia—un’eco, non per appropriazione ma per riverenza, di Cristo nella carne: Colui che viene a riconciliare, a restaurare e a guarire. Tale parallelo non cancella la sacralità della tradizione Hopi, ma ci ricorda che lo Spirito può rivelarsi tra culture diverse in risonanze inattese.

Esistono anche storie, seppur non provate, secondo cui la presenza cristiana avrebbe toccato queste terre ben prima di Colombo—forse attraverso i Norreni, forse tramite la Chiesa d’Inghilterra, o per mezzo di missionari i cui nomi sono andati perduti nel tempo. Che siano storia, leggenda o memoria, queste possibilità ci richiamano a rispettare la profondità delle tradizioni orali, che talvolta custodiscono verità capaci di sfidare i registri ortodossi.

Condivido queste riflessioni non come conclusioni, ma come domande di preghiera e di dialogo. E se queste profezie e tradizioni non fossero ostacoli al Vangelo, ma ponti? E se il Sacred Hoop e la visione di Cristo indicassero entrambi la stessa pienezza di riconciliazione—dove tutte le nazioni si sostengono a vicenda nella dignità, onorando la propria saggezza e custodendo voci mai spezzate?

La mia preghiera è che la Chiesa, sotto la Sua guida, continui ad aprire il proprio cuore a questo sacro dialogo—ascoltando profondamente, onorando le profezie, riconoscendo i torti del passato e camminando umilmente accanto ai popoli della Turtle Island.

Offro questa lettera non come direttiva, ma come gesto di solidarietà, confidando che lo Spirito si muova liberamente tra mito, profezia e Vangelo. Che il Sacred Hoop possa essere riparato, le profezie ricordate, e il sentiero di pace reso chiaro.

Con profondo rispetto e gratitudine,
🙏🏼

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